Una piccola molecola presente nell’intestino del temuto pesce predatore potrebbe diventare la base per un nuovo farmaco contro la malattia.
È quanto emerge da uno studio del team di ricerca internazionale, del quale fa parte il Prof. Fabrizio Chiti, Professore di Biochimica presso il Dipartimento di Scienze Biomediche Sperimentali e Cliniche dell’Università di Firenze e coordinatore del Comitato Tecnico Scientifico di Airalzh.
Il Prof Chiti, insieme a un gruppo di studiosi fiorentini che comprende la Prof.ssa Cristina Cecchi e la D.ssa Roberta Cascella, ha dato il suo prezioso contributo all’indagine, coordinata dal Dipartimento di Chimica dell’Università di Cambridge e pubblicata dalla rivista Nature Communications.
Lo studio ha messo in luce la capacità della trodusquemina di bloccare l’effetto tossico degli aggregati di β-amiloide, che si formano nella corteccia e nell’ippocampo del cervello e sono all’origine della malattia di Alzheimer.
“Questa molecola – specifica il Professor Chiti – ha proprietà peculiari perché, pur non impedendo l’aggregazione del peptide β-amiloide, riduce il tempo di vita degli aggregati intermedi ritenuti tossici”. La scoperta apre quindi nuovi orizzonti di ricerca oltre all’avvio di trial clinici su pazienti con Alzheimer e altre malattie neurodegenerative.